Se vi capita di visitare il Sulcis Iglesiente, vi ritroverete in una delle zone più antiche della Sardegna, nella terra in cui si insediarono le prime civiltà nuragiche, fenicie e puniche.
Monte Sirai è un vero e proprio museo archeologico a cielo aperto. Fu abitato dai Nuragici fin dalla prima metà del II millennio a.C, fin dall’età neolitica. Nel 750 a.C i Fenici dell’antico Libano, che già abitavano il Sulki, l’attuale Sant’Antioco, si insediarono nel territorio del Monte Sirai e abitarono il suo villaggio. Quando i Fenici arrivarono, probabilmente trovarono un nuraghe alto 14 metri che metteva in comunicazione tutti i nuraghi nella zona.
I fenici lo usarono come area sacra e attorno vi costruirono il villaggio e le tombe.
Il villaggio fu usato come insediamento civile e non militare. Si estendeva per ben 2 ettari di terreno e questo aspetto fa capire l’importanza che il villaggio assunse negli anni da un punto di vista logistico.
Dopo 200 anni dall’arrivo dei Fenici, dall’Africa settentrionale arrivarono le truppe cartaginesi dette anche puniche. I Punici appartenevano ad una colonia di Fenici che colonizzarono Cartagine, l’attuale Tunisia.
Con l’arrivo dei Punici, cambiarono soprattutto le usanze funerarie. Dall’incinerazione o cremazione usata dai Fenici, si passò all’inumazione o seppellimento dei morti.
Sono state ritrovate 13 tombe. Quella che siamo andati a visitare è la più importante e più grande. È l’unica a possedere un pilastro centrale e, questo elemento, fa pensare sia appartenuta ad una famiglia importante della comunità punica.
Un altro elemento importantissimo che dà a questa tomba un certo rilievo societario, è il simbolo scolpito e ritrovato all’ingresso, che rappresenta una divinità tipicamente cartaginese, Tanit , dea della fertilità, protettrice di Cartagine, associata a Didone. Ancora più particolare è il fatto che il simbolo della dea Tanit, sia stato ritrovato capovolto. È l’unico esempio in cui la dea viene rappresentata in questo modo e gli archeologi non sanno spiegarne il motivo.
Per la sua particolarità, il simbolo di Tanit capovolto, è diventato il simbolo del Monte Sirai.
Ritornando alla descrizione della tomba, insieme alle ossa dei defunti, furono ritrovati oggetti e amuleti appartenenti al corredo funerario del defunto e avevano la funzione di accompagnarlo durante il suo viaggio eterno. I corpi venivano riposti nei sarcofagi e poi coperti con delle assi di legno. Tutti i membri della famiglia venivano seppelliti lateralmente, poi, quando lo spazio ai lati non bastava più, gli altri membri della famiglia venivano seppelliti al centro della sala con dei sarcofagi in legno.
Spostandosi più avanti, a ridosso di una collinetta, si trova il Tofet.
Il Tofet era una necropoli di bambini. Si trova in una zona separata rispetto alle altre zone sepolcrali perché i bimbi che venivano seppelliti lì, erano bambini morti quasi subito dopo la nascita o addirittura nati morti. Si diceva che erano quelli che non erano ancora “entrati nella società” che non avevano, dunque, fatto in tempo a fare il proprio ingresso nella società e ad essere riconosciuti civilmente.
Furono 350 le urne rinvenute in questa particolare area archeologica insieme a 150 piccoli monumenti chiamati stele che avevano però la funzione di ex voto, ovvero, di ringraziamento che gli uomini facevano alle divinità per grazie ricevute. Quindi il Tofet assume un ruolo di sepoltura dei bambini ma viene riconosciuto anche come luogo sacro in cui si tenevano delle celebrazioni di ringraziamento verso le divinità. A questo proposito, vi consiglio di visitare la vicina sant’Antioco. Anche lì, oltre ad un museo archeologico bellissimo, potrete visitare un altro Tofet molto grande che contiene otre alle piccole urne, moltissime stele votive che avevano a che fare sempre con il tema della fertilità.
Lasciata l’area sacra dei luoghi di sepoltura, si cammina per un tratto e si arriva al villaggio.
L’entrata del villaggio è caratterizzata da un ingresso abbastanza stretto, una piazza, un tempio, tre strade parallele e da una serie di case a schiera. La base delle case del villaggio era in riolite cioè trachite rossa. I mattoncini erano in argilla e paglia essiccati al sole quelli che noi sardi chiamiamo “su ladiri” o “su ladri”.
Il tempio, di cui è rimasta solo la base è in trachite o tufo. Oltre alla trachite rossa, è presente un’altra trachite di color giallo bianco. Il resto del tempio era fatto di mattoncini di argilla e paglia, poi il tutto veniva intonacato.
In una delle sale del tempio è stata ritrovata una statua della dea Astarde, una divinità femminile fenicia la cui statua originale è conservata al museo di Cagliari.
Oltre ad Astarde c’è anche quella del dio Bes, la cui immagine è stata ritrovata sottoforma di placchetta in osso (probabilmente era una decorazione di un mobile di legno. Il dio Bes era una divinità egizia che i fenici continuarono ad adorare e che proteggeva i bambini. La statua originale di Bes fu ritrovata nel sito archeologico situato vicino alla località di Chia, l’antica Bithia e oggi è conservata sempre al museo di Cagliari.
I punici risistemarono il villaggio soltanto nel III secolo a.C.
Abbiamo visitato due abitazioni: una scavata negli anni ’60 denominata Casa Fanthar in onore di uno dei due archeologi tunisini che seguirono gli scavi; l’altra invece fu scavata negli anni ’90.
La caratteristica curiosa di casa Fanthar, è rappresentata dal cortile interno, costruito intorno, molto simile a “sa lolla” il tipico cortile interno delle case campidanesi (sarde). Inoltre, dalla disposizione degli ambienti, si ipotizza che in questa casa potesse esserci stato un piano superiore.
L’altra abitazione, anch’essa di due piani era costruita in pietra ed in legno. Nel primo ambiente si intravede una canaletta per l’acqua che veniva usata in casa; quella che finiva nella parte esterna, invece, veniva utilizzata per essere raccolta in un serbatoio.
Dentro l’abitazione è stato ritrovato un forno, di cui c’è una copia esposta all’esterno. Il forno veniva usato per uso domestico e per cuocere il pane.
In un altro ambiente della casa sono state ritrovate corna di cervo lavorate, scorie di ferro e pietre che servivano per affilare le lame del coltello. Dai ritrovamenti si è pensato che la casa fosse appartenuta ad un artigiano che produceva coltelli.
Oltre all’interesse per l’archeologia che si può provare o meno, consiglio vivamente di visitare il Monte Sirai: il paesaggio, caratterizzato dalle morbide colline, è molto bello e rilassante; gli spazi aperti e molto ampi, fanno intuire il motivo per cui fu scelto dalle varie popolazioni descritte. Un altro aspetto che mi ha colpito è aver saputo che le civiltà che si insediarono una di seguito all’altra, non si fecero la guerra, ma convissero pacificamente per lunghi periodi. Nessuno può sapere esattamente come andarono le cose, ma dai piccoli ritrovamenti archeologici e dalle testimonianze storiche, c’è da pensare che questo sia avvenuto realmente e la curiosità di conoscere i dettagli di come abbiano vissuto e si siano gestiti la quotidianità, è tanta! ?
Consigli della Local: per arrivare a Monte Sirai la strada è segnalata. Dalla strada principale che da Carbonia porta a Sant’Antioco, a un certo punto si deve girare sulla destra. L’indicazione stradale per girare non è molto visibile, quindi consiglio di fare attenzione a non perderla.
Se vi dovesse avanzare del tempo, o avete qualche giorno in più da dedicare a questa zona, vi consigliamo di visitare il museo archeologico di Sant’Antioco e di far visita all’atelier di Chiara Vigo, la Maestra del Bisso che vi abbiamo fatto conoscere con uno dei nostri articoli di cui vi ricordiamo il link: CHIARA VIGO, IL MAESTRO DEL FILO DEL MARE – SANT’ANTIOCO
Se si decide di far la visita d’estate, consigliamo sempre di portarvi acqua e cappellino per riparavi dal sole. Le zone d’ombra non mancano, ma il caldo si fa sentire. Chiedete, inoltre, di fare la visita guidata, le guide sono molto preparate.
Posizione: https://goo.gl/maps/Monte Sirai